l'insoddisfazione è un tartufo

Oggi è l’ultimo giorno delle mie ferie.

Le ho trascorse così: in riposo assoluto, perché il corpo reclamava silenzio e immobilità. Non ho viaggiato, non mi sono immersa in mari nuovi, non ho collezionato fotografie di tramonti. Ho lasciato che i giorni mi scivolassero addosso come acqua lenta, quasi invisibile.

Eppure, mentre restavo qui ferma, la mente era già altrove: inventava itinerari, inseguiva città lontane, immaginava fughe d’autunno e rifugi d’inverno.
Non ho celebrato ciò che possedevo, ho nutrito piuttosto la mancanza di ciò che desidero.

Ed è proprio lì che mi sono accorta che la mia vacanza, senza volerlo, ha avuto un tema segreto: l’insoddisfazione.

C’è chi la chiama difetto, chi la giudica ingratitudine. Io la chiamo bussola.

L’insoddisfazione non è un vuoto che ti divora, ma un profumo che ti chiama.
È come il tartufo: non se ne mangia mai a sazietà, non se ne fa pasto quotidiano.
Lo si assaggia in sottili lamine, appena grattate su un piatto caldo: basta quel respiro intenso, animale, per incendiare l’anima.

Non ti nutre davvero, non colma lo stomaco. Ti lascia sospesa tra la fame e l’estasi.
Eppure, proprio in quel desiderio che non si placa, accade il miracolo: ti rimette in cammino.
Ti costringe a cercare ancora, a spostarti, a inventarti vie nuove, ad annusare la terra finché non trovi un’altra radice da cui far nascere il tuo sogno.

L’insoddisfazione non è condanna: è lusso raro.
Un dono che non concede quiete, ma apre strade.
Così come il tartufo profuma il piatto senza saziarlo, anche l’insoddisfazione profuma la vita senza chiuderla.
E mentre il mondo si accontenta del pane quotidiano, tu resti assetata, affamata, viva.

L’insoddisfazione è il tartufo dell’anima: rara, pungente, preziosa. 

Custodiscila.

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