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Il nobile contenimento dell’uovo

 Per anni ho confuso l’amore con la fame. Credevo che per essere amata dovessi offrirmi come un pasto caldo: casa, corpo, ascolto, silenzio, perdono. Aprivo le porte, sfornavo dolci, servivo sorrisi anche quando avevo le ossa vuote. Gli uomini arrivavano affamati e io mi lasciavo mangiare a poco a poco — finché non restava che un odore nell’aria, come dopo il pranzo della domenica. Ero convinta che dare tutto fosse nobile. Che svuotarmi fosse la prova suprema dell’amore. Ma amare, così, è un atto di sparizione. Si diventa contorno della vita altrui, rumore di fondo, odore che svanisce nei vestiti. Ho impiegato anni per capire che il confine non è freddezza: è calore che si protegge. Che l’intimità non nasce dal condividere tutto, ma dal conservare un nucleo intatto dentro di sé. Come un tuorlo, dentro l’albume. Stamattina ho rotto due uova in un piccolo tegamino. Le ho guardate cuocere piano, il bianco che si ferma al bordo, il giallo che resta vivo al centro. Un cerchio dentro un ...

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